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CORPI SENZA NOME: diritti umani dei cadaveri non identificati e ruolo dell’odontoiatra forense

Scomparso senza nome martedì 6 settembre 2016 - Dental Team D.V.I. Italia

Un cadavere. Un corpo senza vita e senza nome, spinto dalle onde sul litorale di una città del Mediterraneo, meta ambita per i ‘viaggiatori della speranza’.
Una salma. Senza vita e senza nome, dai tratti somatici stranieri, testimoni di una cultura diversa, di una vita alla costante ricerca di una condizione migliore.
Un corpo, un insieme di resti umani, senza vita e senza nome, che – al di là delle cause del decesso e dello stato di conservazione – un giorno, non troppo lontano, chiamavamo uomo. Un padre, un fratello, un figlio, con degli affetti ed una famiglia che a casa ignora il suo tragico destino. Quando si estinguono i diritti di un uomo? Qual è il confine che separa la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo in vita rispetto alla tutela dei diritti di un uomo non più in vita?
Un uomo, quando morto, smette forse di essere un uomo? Nei casi di decesso è consuetudine considerare il defunto come un uomo che è stato, con dei diritti che ha avuto.
Ma la dignità di uomo non si esaurisce nella vita, non svanisce con la morte. Solo fuggendo da superficiali valutazioni è possibile riconoscere l’esistenza di diritti inviolabili e fondamentali, che fanno parte della vita quanto della morte.
È necessario – se non addirittura fondamentale – garantire la tutela di taluni diritti inviolabili di un corpo senza vita e senza nome, il suo recupero, l’accertamento delle cause del decesso, l’identificazione, il ricongiungimento ai propri cari e il più idoneo rito funerario religioso.

Identificare un corpo ‘senza nome’ è doveroso in tutti i singoli casi di soggetti scomparsi ritrovati senza vita, di clochard apparentemente privi di identità, di soggetti immigrati in terra straniera ma privi di documento di riconoscimento, e in tutti quei casi in cui di disastri di massa con un vasto numero di vittime, di varia provenienza geografica e di difficile identificazione, a seguito di calamità naturali, incidenti aerei, croceristici e disastri di altra natura.
E non si tratta di poche circostanze isolate, soprattutto se – tra quelli elencati – si considera l’elevato numero di immigrati morti in una terra a loro straniera se non, addirittura, in acque internazionali.
In particolare, il crescente flusso migratorio e turistico, nel più ampio contesto della globalizzazione, comporta una serie di problemi giuridici, politici e civili quali un più efficace controllo alle frontiere, una migliore regolamentazione dei flussi migratori e – appunto – la più idonea tutela dei diritti umani.

Centinaia di migliaia di migranti e richiedenti asilo, negli ultimi anni, sono stati accolti in paesi a loro stranieri in tutto il Mondo. La stima è di 215,8 milioni nel 2010, 35 milioni in più del 2000 e 58 milioni in più del 1990.
A causa dei processi di globalizzazione, che per loro natura facilitano la circolazione delle persone, nella sola realtà regionale europea, i migranti internazionali costituiscono l’8,7 per cento della popolazione.
Focalizzando poi l’attenzione all’area mediterranea, sono migliaia ogni anno, i casi di intercettazione e salvataggio in mare, dovuti al crescente numero di persone che transitano dal Nord Africa e dai Balcani alla volta di Italia, Spagna, Grecia ed in generale verso l’Unione Europea.
Questo flusso inarrestabile – destinato inesorabilmente a crescere – pone importanti sfide per le singole legislazioni nazionali nell’ambito della gestione della migrazione. Nei loro sforzi per individuare e trattenere le persone che viaggiano senza i documenti richiesti, gli Stati hanno infatti bisogno di esercitare i loro diritti legittimi e la propria sovranità, al fine di mantenere il controllo dei propri confini e di garantire la salvaguardia della sicurezza nazionale.
In un’epoca di terrorismo internazionale, è infatti, del tutto comprensibile che la politica di ogni Stato anteponga tali preoccupazioni tra le priorità di intervento di ordine e sicurezza pubblica.

Tutto ciò ha determinato, anche dal punto di vista forense, l’occasione di questa analisi, finalizzata alla necessità di sottolineare l’importanza di un approccio globale per quanto riguarda l’identificazione delle persone, tramite accurati rilievi ed analisi da parte degli anatomo-patologi, biologi, antropologi e odontoiatri forensi.
Quali sono, quindi, in questo ambito, i diritti oggettivamente riconosciuti di un uomo senza nome fuori dalla sua terra? Quali sono i diritti da tutelare di un cadavere tra altri migliaia, di cui non si conoscono la provenienza, l’identità, la storia?
Al di là di una qualsivoglia credo religioso, che vorrebbe il defunto onorato dal sacramento e da degna sepoltura, l’essenza oggettiva, laica – e purtroppo ancora troppo spesso ignorata – della nozione di salvaguardia dei diritti dell’uomo umani prevede l’accezione di ‘tutela’ e di ‘diritto’ estendersi anche ai morti ed anche in questo modo alle loro famiglie, ai loro affetti, in altri termini, a chi resta, andando oltre la persona che ne è titolare.
In casi drammatici come questi, il rispetto di tali bisogni della collettività è garantito proprio – e soprattutto – dall’espletamento di corrette e idonee procedure identificative.
Secondo quanto stabilito dalla Dichiarazione Internazionale dei Diritti dell’Uomo, dal Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e dalla Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo, la mancanza o l’incompleta applicazione di tali procedure comporta gravi violazioni di importanti diritti umani e civili.
Una persona scomparsa è considerata viva dalla famiglia – anche nel caso di morte presunta quando trascorsi 10 anni dalla scomparsa – fino al momento dell’eventuale recupero ed identificazione del cadavere del proprio caro.
Tale condizione di incertezza comporta per i familiari una sofferenza cronica e prolungata nel tempo, psicologicamente assimilabile ad una condizione di tortura, poiché questi non riescono a rassegnarsi alla perdita del proprio congiunto e, pur considerando l’eventualità della sua morte, non hanno un luogo dove poterlo ricordare, un corpo verso il quale rivolgere le proprie preghiere, il proprio legame, il proprio dolore.
In altri termini, non hanno elementi per poter concludere la fase disperata della ricerca ed intraprendere quella altrettanto complessa, ma sicuramente più rasserenante in una visione prospettica del futuro, dell’elaborazione del lutto.
Per questo motivo dovrebbe essere chiaro a tutti gli ‘operatori’ coinvolti nelle delicate fasi identificative delle salme, che una incompleta valutazione post mortem – che può portare ad una identificazione ritardata del corpo – rappresenta una violazione dei diritti umani in quanto comporta un prolungamento di questo condizione di incertezza e di perenne lutto.

Fondamentale, al fine di evitare gravi inottemperanze e inesattezze, la corretta gestione dei resti umani fin dai primi istanti del ritrovamento della salma, a garanzia di una mirata rilevazione di tutti i dati utili all’auspicabile successivo riconoscimento.
Il processo di identificazione di un cadavere è un complesso procedimento tecnico che prevede la comparazione di ogni elemento individualizzante riveniente dalla autopsia con i dati dei soggetti scomparsi, soprattutto quelli di natura medica, antropomometrica e odontoiatrica, denominati dati ante-mortem. Si tratta di segni particolari rilevabili de visu sul corpo, quali tatuaggi, nei e cicatrici, ma anche – e soprattutto – di elementi di carattere sanitario quali cartelle cliniche, pregressi interventi chirurgici, protesi, referti radiografici e ogni altro genere di informazione odontoiatrica.
L’analisi dell’odontoiatra forense, in particolare, si basa in larga misura sulla comparazione di numerosi dati dentali post-mortem con le diverse informazioni ante-mortem anche di natura non dentale. Il processo di identificazione odontologico-forense consente, infatti, di individuare un profilo biologico del soggetto che può essere utilizzato per l’identificazione generica, fornendo utili elementi per le indagini nel ridurre il numero dei possibili soggetti scomparsi compatibili.
La bocca e i denti permettono, infatti, all’odontoiatra esperto in odontologia forense di individuare una sorta di biografia dentale attraverso informazioni sui denti sani (caratteristiche antropologiche, mal posizioni, pigmentazioni, abrasioni), sui denti curati (materiali da otturazione, periodo della cura, marca dei materiali, tecniche odontoiatriche impiegate), sui denti assenti (protesi dentarie mobili/fisse, viti implantari, patologie orali pregresse), sullo stato socio-economico, sull’età, sesso, razza e persino sull’origine geografica.

Tuttavia accade ancora con troppa frequenza che l’importanza di tali valutazioni – e con essa dello stesso ruolo dell’odontoiatra forense durante le autopsie – venga sminuita.
Troppo spesso si perde l’occasione e la possibilità di facilitare le operazioni di identificazione del cadavere a causa dell’assenza di elementi e dati ante e post mortem di scomparsi e senza nome rinvenuti nel periodo sia precedente che successivo del decesso, per assenza di periti con esperienza e competenza nella identificazione umana forense e per l’incompleta raccolta e registrazione di informazioni secondo standard internazionali.
Indispensabile risulterebbe, invece, l’individuazione di criteri oggettivamente riconosciuti di raccolta e conservazione dei dati sanitari medici e odontoiatrici da parte di tutti gli operatori del settore e una rigida regolamentazione relativa al riconoscimento del ruolo routinario che l’odontoiatra forense dovrebbe avere nelle indagini giudiziarie relative all’identificazione di resti umani scheletrizzati e decomposti.
Senza dimenticare la combinazione odontoiatra/antropologo forense che permette una più ampia definizione del profilo biologico del soggetto da identificare, permettendo alle autorità inquirenti di restringere il campo investigativo, velocizzando e orientando le indagini in modo mirato e quindi più efficace.
Ed è così che il riconoscimento dei diritti dei cadaveri senza nome non può prescindere da una zelante e rigida regolamentazione delle procedure per l’identificazione e la gestione dei resti umani e dall’applicazione di codici e standard internazionali di raccolta dati ante-mortem, in un’ottica di interdisciplinarietà capace di coniugare differenti approcci e competenze professionali in un unico obiettivo comune (come peraltro suggerisce l’Interpol).

Ecco che il corpo torna ad essere di proprietà dell’uomo che lo ha abitato.
E nell’identità rinvenuta, l’uomo che è stato si riapproprierà del suo corpo e della sua storia. Non più un corpo senza vita e senza nome, ma quell’uomo non più in vita con il suo nome.

Ringraziamenti: ringrazio il dottor Emilio Nuzzolese, perito odontoiatra forense, per il contributo scientifico offerto alla stesura del presente articolo.

 

E. Nuzzolese, Missing People, Migrants, Identification and Human Rights, Journal of Forensic Odntostomatology Vol. 30 Sup. 1 November 2012